Quando, precisamente, la parola globalizzazione ha iniziato ad assumere una connotazione negativa? Non lo sappiamo, ovviamente. All’inizio si parlava di mercato unico globale, di apertura, di armonizzazione, di condivisione su scala mondiale di idee, tendenze, grandi questioni. Attraverso un processo lento ma inesorabile – che poco ha avuto a che fare con l’integrazione economica, sociale e culturale – abbiamo assistito al cambiamento di significato di questa parola che si è spostato irreversibilmente, a quanto pare, verso quello di omologazione.
E che cos’è l’omologazione se non una perdita di identità generalizzata che ha riguardato tutti i settori? Una crisi di valori prima che una crisi economica, anche se la seconda pare interessare molto più della prima.
La domanda è: come invertire questo processo?
Attraverso un radicale cambiamento del modello economico e sociale che riscopra il valore, il ruolo e l’importanza dell’identità.
Identità in senso lato, intesa come unicità, essenza e personalità e, nel nostro campo, come riscoperta e ricostruzione dei nostri territori e tessuti produttivi e commerciali. Ripartire dalle peculiarità dei prodotti, dall’efficienza dei servizi e dalle idee che producono valore e innovazione. La crisi si combatte in questo modo. E la globalizzazione, allora, non sarebbe più un male assoluto.
Potrebbe, addirittura, rappresentare un’opportunità per chi ne sa cogliere e valorizzare gli aspetti positivi.
Andrea Borsini
General Manager